Autore: Ducos, Michèle
Titolo: La crainte de l’infamie et l’obéissance à la loi (Cicéron, De republica, V,4,6)
Rivista/Miscellanea: "Revue des études latines", LVII
Anno edizione: 1979
Pagine: 145-165
Parole chiave: Droit - Diritto - Law
Descrizione: [EdC] [Comment] La paura della pena inflitta e la persuasione a non peccare rappresentano, nella prospettiva dell’A., due soluzioni tra le quali l’antichità avrebbe oscillato per garantire il rispetto delle leggi da parte dei cittadini. Un passo del De re publica (V, 4, 6), invece, consente di analizzare una terza modalità: il sentimento dell’onore assicura l’obbedienza alla legge. L’A. specifica la sottile differenza, di ascendenza stoica, tra i due termini latini che designano “onore”, vale a dire pudor e verecundia. Il primo ha delle connotazioni irrazionali, “c’est à l’origine au mouvement de répulsion” (p. 147), il secondo, al contrario, è associato alla sfera razionale, poiché il verbo vereri rappresenta “une appréhension d’ordre intellectuel” (p. 147), fondata sulla riflessione ponderata e sul calcolo. Se il riferimento allo stoicismo è stato utile a Cicerone per definire la natura di tale sentimento, quello a Platone è stato indispensabile per comprendere come l’onore si calasse in un contesto sociale. Già all’interno delle legislazioni antiche di Zaleuco e di Caronda si intravede il ricorso alla lesione dell’onore per punire il colpevole, ma è con le "Leggi" di Platone che si conferisce un ruolo importante all’aidos (verecundia), che permette al legislatore di orientare i cittadini verso il bene e di renderli accondiscendenti alle leggi. Ogni individuo, rispettando un efficace sistema educativo, dovrebbe radicare nel suo animo il senso dell’onore e, di conseguenza, presagire gli effetti negativi dell’umiliazione che potrebbe comportare un’eventuale colpa. Dal canto suo Cicerone, acquisita la lezione platonica, è consapevole di quanto le nozioni di existimatio e dignitas siano rilevanti anche nel mos dei Romani: la nota censoria, che provocava una disapprovazione morale nei confronti dei cittadini indegni, le leggi arcaiche (cfr. legge della Tavola VIII, p. 158), che “prennent aussi en compte l’honorabilité du citoyen”, costituiscono autorevoli esempi. In tal modo, l’onore diventa un solido fondamento per il rispetto delle leggi, un fondamento che l’uomo scorge nell’anima e che l’educazione gli insegnerà ad ascoltare.
Sigla autore: Ducos 1979
Titolo: La crainte de l’infamie et l’obéissance à la loi (Cicéron, De republica, V,4,6)
Rivista/Miscellanea: "Revue des études latines", LVII
Anno edizione: 1979
Pagine: 145-165
Parole chiave: Droit - Diritto - Law
Descrizione: [EdC] [Comment] La paura della pena inflitta e la persuasione a non peccare rappresentano, nella prospettiva dell’A., due soluzioni tra le quali l’antichità avrebbe oscillato per garantire il rispetto delle leggi da parte dei cittadini. Un passo del De re publica (V, 4, 6), invece, consente di analizzare una terza modalità: il sentimento dell’onore assicura l’obbedienza alla legge. L’A. specifica la sottile differenza, di ascendenza stoica, tra i due termini latini che designano “onore”, vale a dire pudor e verecundia. Il primo ha delle connotazioni irrazionali, “c’est à l’origine au mouvement de répulsion” (p. 147), il secondo, al contrario, è associato alla sfera razionale, poiché il verbo vereri rappresenta “une appréhension d’ordre intellectuel” (p. 147), fondata sulla riflessione ponderata e sul calcolo. Se il riferimento allo stoicismo è stato utile a Cicerone per definire la natura di tale sentimento, quello a Platone è stato indispensabile per comprendere come l’onore si calasse in un contesto sociale. Già all’interno delle legislazioni antiche di Zaleuco e di Caronda si intravede il ricorso alla lesione dell’onore per punire il colpevole, ma è con le "Leggi" di Platone che si conferisce un ruolo importante all’aidos (verecundia), che permette al legislatore di orientare i cittadini verso il bene e di renderli accondiscendenti alle leggi. Ogni individuo, rispettando un efficace sistema educativo, dovrebbe radicare nel suo animo il senso dell’onore e, di conseguenza, presagire gli effetti negativi dell’umiliazione che potrebbe comportare un’eventuale colpa. Dal canto suo Cicerone, acquisita la lezione platonica, è consapevole di quanto le nozioni di existimatio e dignitas siano rilevanti anche nel mos dei Romani: la nota censoria, che provocava una disapprovazione morale nei confronti dei cittadini indegni, le leggi arcaiche (cfr. legge della Tavola VIII, p. 158), che “prennent aussi en compte l’honorabilité du citoyen”, costituiscono autorevoli esempi. In tal modo, l’onore diventa un solido fondamento per il rispetto delle leggi, un fondamento che l’uomo scorge nell’anima e che l’educazione gli insegnerà ad ascoltare.
Sigla autore: Ducos 1979