Tipo opera: Cicerone - I - Opere
Descrizione: Opera filosofica, pervenutaci incompleta, che si considera composta nei primi mesi successivi all'assassinio di Cesare (15 marzo del 44 a.C.); la data fittizia del dialogo coincide con quella reale e l'ambientazione è nella villa di Cicerone a Pozzuoli, il Puteolanum. Il testo che si è conservato non ci permette di definire con precisione a chi sia dedicata l'opera, forse ad Aulo Irzio (al quale Cicerone si rivolge come interlocutore), già ufficiale di Cesare fin dal 54 a.C. e console designato nel 44 a.C. dopo la morte del dittatore. [Fausto Pagnotta]
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Riferimenti storici:
Opera filosofica, pervenutaci incompleta, che si considera composta nei primi mesi successivi all’assassinio di Cesare (15 marzo del 44 a.C.); la data fittizia del dialogo coincide con quella reale e l’ambientazione è nella villa di Cicerone a Pozzuoli, il Puteolanum. Il testo che si è conservato non ci permette di definire con precisione a chi sia dedicata l’opera, forse ad Aulo Irzio (al quale Cicerone si rivolge come interlocutore), già ufficiale di Cesare fin dal 54 a.C. e console designato nel 44 a.C. dopo la morte del dittatore.
Fin dai primi passi di quanto ci è pervenuto del proemio si capisce come lo scenario politico apertosi dopo le Idi di Marzo faccia da sfondo al De fato: l’obiettivo di Cicerone, infatti, come egli stesso afferma, è quello di prevenire, dopo la morte di Cesare, le cause novarum perturbationum, cercando di trattare de pace et de otio (fat. 2) in particolare con interlocutori di parte cesariana a lui legati da vincoli di amicizia e da rapporti culturali, come Aulo Irzio (fat. 3-4). Nel seguito del testo pervenutoci integro (fat. 5-6), dopo un’ampia lacuna iniziale, Cicerone, riferendosi a una serie di esempi di previsioni veridiche citate da Posidonio per dimostrare l’esistenza del fato, afferma che ogni esempio si può spiegare sia con il principio filosofico della “simpatia” propria della natura, naturae contagio, sia con la pura casualità, fortuna, senza dover ricorrere al concetto di fato. Confutato Posidonio, Cicerone rivolge la sua critica a Crisippo e alla teoria stoica della “simpatia naturale” tra gli esseri viventi e le cose presenti nel cosmo, che per gli Stoici sono in una reciproca relazione secondo un principio di causalità (fat. 7). Per Cicerone quanto affermato dagli Stoici può essere plausibile per il mondo naturale, ma lo è solo in parte per l’uomo, il quale, se può essere condizionato nella sua natura psico-fisica dal clima del luogo in cui nasce o dalla posizione degli astri al momento della nascita, tuttavia ha la facoltà di determinare in modo libero le proprie scelte e di controllare ed educare le proprie inclinazioni naturali grazie alla voluntas, allo studium, e alla disciplina (fat. 8-11). L’Arpinate passa poi a criticare sia alcune proposizioni dell’arte divinatoria che legittima l’esistenza del fato sia alcune proposizioni dei filosofi Crisippo e Diodoro Crono (fat. 11-20). Per Cicerone, inoltre, sono da criticare coloro che affermano il concetto per cui ogni cosa è regolata da una serie di cause concatenate, perché mentem hominis voluntate libera spoliatam necessitate fati devinciunt (fat. 20). L’Arpinate affronta poi il problema della teoria epicurea del clinamen, ovvero della libera deviazione degli atomi, di cui è composta ogni cosa nel cosmo, dal loro corso determinato, teoria che era servita agli Epicurei per dare ragione della libertà dei sentimenti e delle azioni dell’uomo, condizionate anch’esse dal moto degli atomi (fat. 22-23). Cicerone, a tale teoria che non offre spiegazione della causa del clinamen, che non può tuttavia essere generato dal nulla, preferisce la concezione di Carneade, il quale, come afferma l’Arpinate, aveva suggerito agli Epicurei che il moto volontario dell’animo umano ha la sua causa in sé stesso, e proprio perché non dipende da cause esterne a sé, rende l’uomo libero ed autonomo di agire e di scegliere (fat. 23-25).
Per Cicerone affidarsi alla teoria del fato porta l’uomo all’inazione e quindi a negare la sua stessa natura di essere dotato di una libera volontà, relegandolo così allo stato di ignavus e di iners (fat. 29). Altrettanto ferma da parte di Cicerone, che cita Carneade, la ripresa della critica del determinismo razionalistico degli Stoici, che nega l’esistenza della libera volontà dell’uomo al di fuori del principio di causalità (fat. 31-33). Nell’ultima parte di quanto ci è pervenuto del testo del De fato, Cicerone spiega come tra i filosofi antichi ci siano due concezioni opposte sul fato, quella di coloro che pensano che ogni cosa accada a causa del fato, il quale agisce secondo necessità, e quella di coloro che pensano che il fato non esista. Tra queste due concezioni, per l’Arpinate, Crisippo ha cercato una mediazione, senza però riuscirci (fat. 39-43). Infine, negli ultimi tre paragrafi del testo pervenutoci integro, Cicerone riprende la critica alla teoria epicurea del clinamen (fat. 46-48).
Il De fato, all’indomani delle Idi di Marzo, rappresenta forse il tentativo di Cicerone di combattere l’atteggiamento di inazione tra i boni viri di Roma e dell’Italia, e di spronare quindi i suoi lettori al senso di responsabilità nei confronti della Res publica, da ricostruire e da difendere attraverso un rinnovato impegno morale e politico. [Fausto Pagnotta]
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