Cato Maior de senectute

Titolo: Cato Maior de senectute
Tipo opera: Cicerone - I - Opere
Descrizione: Opera filosofica in forma di dialogo, dedicata a Tito Pomponio Attico (Cato 1-3; Att. 14,21,3; 16,3,1; 16,11,3), si considera in genere composta nei primi mesi del 44 a.C.
[Fausto Pagnotta]
Parole chiave: Éditions - Edizioni - Editions, Philosophie - Filosofia - Philosophy, Politique - Politica - Politics
Riferimenti storici:

Opera filosofica in forma di dialogo, dedicata a Tito Pomponio Attico (Cato 1-3; Att. 14,21,3; 16,3,1; 16,11,3), si considera in genere composta nei primi mesi del 44 a.C., di certo il terminus ante quem è l’11 maggio del 44 a.C. data di Att. 14,21,3 dove Cicerone scrive Legendus mihi saepius est “Cato maior” ad te missus. Il dialogo è ambientato nella casa di M. Porcio Catone il Censore, nell’anno 150 a.C., dove Catone, ottantaquattrenne, tiene una conversazione sulla vecchiaia alla presenza dei giovani P. Cornelio Scipione Emiliano e C. Lelio. Nella dedica ad Attico (Cato 1-3) Cicerone attribuisce al dialogo una funzione consolatoria, di sollievo dal comune peso degli anni e dalle angosce della vita. Nell’idealizzazione dell’immagine di un Catone cultore dei valori dell’humanitas Cicerone rappresenta tratti della propria personalità. Fin da subito Catone afferma che lamentarsi della vecchiaia è da stolti poiché essa dipende dalla natura e l’uomo non può naturae repugnare (Cato 5). La conoscenza e l’esercizio delle virtù in ogni età, insieme alla consapevolezza di una vita ben spesa, sono i rimedi più efficaci per una buona vecchiaia (Cato 9). La vecchiaia appare ai più portatrice di infelicità perché allontana dalle occupazioni pubbliche, perché rende più debole il corpo, perché toglie ogni piacere, ed infine perché porta alla morte (Cato 15). Per ognuna di queste motivazioni Catone sviluppa una confutazione. Prima di tutto egli afferma che non è vero che da vecchi non si hanno più occupazioni, poiché ci si deve dedicare con il proprio consilium ai concittadini e in particolare all’educazione dei giovani (Cato 16-26, 28-29). Per quanto riguarda le forze fisiche, esse sono soggette alla natura, è quindi inutile lamentarsi, tuttavia grazie ad un moderato esercizio fisico e alla temperanza nei costumi si possono preservare (Cato 34). Nella vecchiaia restano invece in buone condizioni, se esercitate, le facoltà dell’ingegno (Cato 38). Il fatto che la vecchiaia tolga i piaceri, per Catone rappresenta un praeclarum munus aetatis poiché libera dagli affanni giovanili causati dalle voluptatis avidae libidines (Cato 39) pericolose per sé e per la patria. Bisogna dedicarsi piuttosto a quei piaceri da cui si trae utilità unita al beneficio per l’animo, di qui l’elogio dell’agricoltura nella contemplazione del ciclo di semina, nascita e crescita della vite che dona poi preziosi frutti (Cato 52-53). Tutto questo nel ricordo di eminenti personalità della storia di Roma quali ad esempio L. Quinzio Cincinnato e M. Curio Dentato che alternavano attività politica e agricoltura (Cato 55-61). Una chiara analogia tra la sapientia necessaria a coltivare gli affari dello Stato e quella necessaria a coltivare i campi, entrambe bisognose di prudentia e di temperantia. Catone infine confuta la paura della morte (Cato 66-85) argomentando che essa, comune ad ogni età, è naturale nella vecchiaia, mentre è evento violento nella giovinezza (Cato 71). Egli si dice contrario al suicidio citando l’autorità di Pitagora, poiché è contro natura e contro gli Dei (Cato 73). Infine Catone esprime la sua adesione alla concezione dell’immortalità dell’anima come premio riservato a coloro che hanno trascorso una vita virtuosa per sé e per la patria (Cato 77-85), portando beneficio all’umanità, un chiaro richiamo di Cicerone al Somnium Scipionis. [Fausto Pagnotta]


Bibliografie: