Auteur: Malaspina, Ermanno
Titre: L’autenticità di Cic. Epigr. 3 Soubiran e le dicerie su Cicerone
Revue/Collection: "Quaderni del Dipartimento di filologia, linguistica e tradizione classica dell’Università di Torino", 13
Lieu èdition: Bologna
Éditeur: Pàtron
Annèe edition: 1999
Pages: 173-196
Mots-clès: Biographie - Biografia - Biography, Héritage - Fortuna - Legacy, Histoire - Storia - History, Poesia - Poesie - Poetry
Description: Gli studiosi hanno presupposto che la liaison tra Cicerone e Tirone sulla pagina dovesse riflettere in maniera esatta e fededegna la vita dei due personaggi e che questo fosse il convincimento anche di Plinio, ed hanno così creato un "romanzo di Tirone" in sedicesimo (dai più rifiutato come falsificazione di Gallo e da ben pochi accettato come tale, si è visto), parallelo (o meglio antitetico, data la sua natura omoerotica) a quelli un tempo costruiti su figure come Lesbia o Cinzia. Si è visto che un rapporto pederastico del genere, anche se con uno schiavo, era considerato disdicevole e poco virile dalla morale tradizionale, mentre non costituiva uno scandalo renderlo oggetto d'ispirazione poetica, evidentemente perché il filtro letterario rendeva impossibile, o per lo meno molto difficile, trasferire alla vita del poeta quel che si leggeva nella sua pagina: lo dimostra più di tutti la produzione rimasta di Q. Lutazio Catulo, consolare e vincitore dei Cimbri, nonché quella dei poeti che la tradizione pone al suo fianco. Il nostro epigramma, quindi, non va trattato alla stregua di un commentario o di un'epistola, ma per quello che è, vale a dire una pura finzione, un lusus, composto inserendovi per burla non un "nome d'arte" (come Lesbia e Cinzia, appunto), ma quello d'un personaggio reale: la scena, descrittavi alla rovescia, con il padrone che soffre e lo schiavo che comanda, secondo una tradizione letteraria consolidata in Grecia e da poco affermatasi anche a Roma, suscitava, in lettori non malevolmente prevenuti (quali erano Furio, Aurelio e Gallo) non dubbi sulla virilità "romana" dell'autore, ma il sorriso compiaciuto per la presentazione di un quadro divenuto ormai di genere. Rivendicando tale natura letteraria, si diradano anche i dubbi avanzati sopra sul ruolo giocato da Plinio ed il quadro d'insieme si riassesta armonicamente: Cicerone in gioventù compone un epigramma scherzoso di tipo alessandrino; Gallo (o Asinio) utilizzano il testo (traendolo dal iocularis libellus o da altre fonti, non importa) a modo loro, per criticarne la composizione o per montare uno scandalo sulla pudicitia di Cicerone; Plinio "riscopre" l'epigramma, lo libera dalle malevole superfetazioni dei Libri de comparatione patris (tanto agevolmente da non darsi pena di aggiungere spiegazioni nella lettera) e lo riconduce nell'ambito della letteratura d'intrattenimento, utilizzandolo per i suoi fini, anch'essi solo letterari, convinto di aver trovato un'arma in più per affrontare la polemica sulle sue composizioni leggere (non certo di aver gettato cattiva luce sulla condotta privata propria e del suo modello, come invece i posteri hanno creduto). Abbiamo già notato che l'unico elemento che connetta strettamente, almeno a prima vista, l'epigramma ad un dato storico specifico è proprio il fatto che esso sia stato composto in Tironem suum: la scelta del nome Tiro, però, può sì tradire la situazione reale di partenza, cioè una effettiva storia, più o meno romantica, con lo schiavo così chiamato, ma può anche rispondere a motivazioni affatto diverse e più raffinate, poiché nella poesia antica in generale, ed in quella preneoterica di Lutazio Catulo in particolare, il nome ha anche la funzione di evocare per paretimologia o di alludere a particolari caratteristiche di chi lo porta: «nel caso di nomi "storici" si tratta di un intervento che il poeta compie a posteriori, di un tentativo di dare un significato a un significante che riceve dalla tradizione o dalla realtà. Potremmo parlare di nomi "rimotivati", per i quali si cerca un accordo tra la designazione e il significato». Mi pare sia sinora sfuggito che anche Tiro («recluta», «principiante») è un perfetto "nome parlante", utilizzato da Cicerone stesso in senso traslato al di fuori del campo semantico della vita militare e presente nel lessico erotico più tardo, anche se di rado. Tiro potrebbe essere funzionale alla morale della composizione, che per quel poco che ci è rimasto non può che essere condensata in un motto come "la recluta (cioè l'amante alle prime armi) dà ordini al suo comandante", con la messa in scena della costernazione di Cicerone, tra il serio e l'ironico, di fronte ad un tiro che con lui si comporta ormai come dominus e dux, rifiutandosi di ubbidirgli e di concedergli ciò che gli aveva promesso. Tale ulteriore suggestione conferma l'impressione che l'epigramma erotico fosse composto su di un registro ironico e disincantato e che non consistesse in un convinto "lamento dell'amante" (cfr. queritur al v. 7).
Oeuvres:
Liens: http://www.tulliana.eu/documenti/Malaspina_21_dicerie_1999.pdf
Sigle auteur: Malaspina 1999
Titre: L’autenticità di Cic. Epigr. 3 Soubiran e le dicerie su Cicerone
Revue/Collection: "Quaderni del Dipartimento di filologia, linguistica e tradizione classica dell’Università di Torino", 13
Lieu èdition: Bologna
Éditeur: Pàtron
Annèe edition: 1999
Pages: 173-196
Mots-clès: Biographie - Biografia - Biography, Héritage - Fortuna - Legacy, Histoire - Storia - History, Poesia - Poesie - Poetry
Description: Gli studiosi hanno presupposto che la liaison tra Cicerone e Tirone sulla pagina dovesse riflettere in maniera esatta e fededegna la vita dei due personaggi e che questo fosse il convincimento anche di Plinio, ed hanno così creato un "romanzo di Tirone" in sedicesimo (dai più rifiutato come falsificazione di Gallo e da ben pochi accettato come tale, si è visto), parallelo (o meglio antitetico, data la sua natura omoerotica) a quelli un tempo costruiti su figure come Lesbia o Cinzia. Si è visto che un rapporto pederastico del genere, anche se con uno schiavo, era considerato disdicevole e poco virile dalla morale tradizionale, mentre non costituiva uno scandalo renderlo oggetto d'ispirazione poetica, evidentemente perché il filtro letterario rendeva impossibile, o per lo meno molto difficile, trasferire alla vita del poeta quel che si leggeva nella sua pagina: lo dimostra più di tutti la produzione rimasta di Q. Lutazio Catulo, consolare e vincitore dei Cimbri, nonché quella dei poeti che la tradizione pone al suo fianco. Il nostro epigramma, quindi, non va trattato alla stregua di un commentario o di un'epistola, ma per quello che è, vale a dire una pura finzione, un lusus, composto inserendovi per burla non un "nome d'arte" (come Lesbia e Cinzia, appunto), ma quello d'un personaggio reale: la scena, descrittavi alla rovescia, con il padrone che soffre e lo schiavo che comanda, secondo una tradizione letteraria consolidata in Grecia e da poco affermatasi anche a Roma, suscitava, in lettori non malevolmente prevenuti (quali erano Furio, Aurelio e Gallo) non dubbi sulla virilità "romana" dell'autore, ma il sorriso compiaciuto per la presentazione di un quadro divenuto ormai di genere. Rivendicando tale natura letteraria, si diradano anche i dubbi avanzati sopra sul ruolo giocato da Plinio ed il quadro d'insieme si riassesta armonicamente: Cicerone in gioventù compone un epigramma scherzoso di tipo alessandrino; Gallo (o Asinio) utilizzano il testo (traendolo dal iocularis libellus o da altre fonti, non importa) a modo loro, per criticarne la composizione o per montare uno scandalo sulla pudicitia di Cicerone; Plinio "riscopre" l'epigramma, lo libera dalle malevole superfetazioni dei Libri de comparatione patris (tanto agevolmente da non darsi pena di aggiungere spiegazioni nella lettera) e lo riconduce nell'ambito della letteratura d'intrattenimento, utilizzandolo per i suoi fini, anch'essi solo letterari, convinto di aver trovato un'arma in più per affrontare la polemica sulle sue composizioni leggere (non certo di aver gettato cattiva luce sulla condotta privata propria e del suo modello, come invece i posteri hanno creduto). Abbiamo già notato che l'unico elemento che connetta strettamente, almeno a prima vista, l'epigramma ad un dato storico specifico è proprio il fatto che esso sia stato composto in Tironem suum: la scelta del nome Tiro, però, può sì tradire la situazione reale di partenza, cioè una effettiva storia, più o meno romantica, con lo schiavo così chiamato, ma può anche rispondere a motivazioni affatto diverse e più raffinate, poiché nella poesia antica in generale, ed in quella preneoterica di Lutazio Catulo in particolare, il nome ha anche la funzione di evocare per paretimologia o di alludere a particolari caratteristiche di chi lo porta: «nel caso di nomi "storici" si tratta di un intervento che il poeta compie a posteriori, di un tentativo di dare un significato a un significante che riceve dalla tradizione o dalla realtà. Potremmo parlare di nomi "rimotivati", per i quali si cerca un accordo tra la designazione e il significato». Mi pare sia sinora sfuggito che anche Tiro («recluta», «principiante») è un perfetto "nome parlante", utilizzato da Cicerone stesso in senso traslato al di fuori del campo semantico della vita militare e presente nel lessico erotico più tardo, anche se di rado. Tiro potrebbe essere funzionale alla morale della composizione, che per quel poco che ci è rimasto non può che essere condensata in un motto come "la recluta (cioè l'amante alle prime armi) dà ordini al suo comandante", con la messa in scena della costernazione di Cicerone, tra il serio e l'ironico, di fronte ad un tiro che con lui si comporta ormai come dominus e dux, rifiutandosi di ubbidirgli e di concedergli ciò che gli aveva promesso. Tale ulteriore suggestione conferma l'impressione che l'epigramma erotico fosse composto su di un registro ironico e disincantato e che non consistesse in un convinto "lamento dell'amante" (cfr. queritur al v. 7).
Oeuvres:
Liens: http://www.tulliana.eu/documenti/Malaspina_21_dicerie_1999.pdf
Sigle auteur: Malaspina 1999