Author: Magnaldi, Giuseppina
Title: Note in margine al De finibus di Cicerone (2. 61, 2. 118, 3. 2, 4. 9, 5, 15)
Review/Collection: "Sileno", 29
Year edition: 2013
Pages: 253-269
Keywords: Philologie - Filologia - Philology
Description: [Comment] [EdC] Con il presente articolo, l’A. intende avanzare tre proposte di correzione al testo tradito del De finibus, relative, nello specifico, a questi luoghi corrotti: 3. 2; 4. 9; 5. 15. In secondo luogo, si propone di illustrare altre due congetture che, seppur inerenti a luoghi comunemente giudicati sani, presentano al loro interno alcune imperfezioni testuali (2, 61; 2, 118). Posta la collazione diretta dei quattro principali manoscritti (A= Vaticanus Pal. Lat. 1513; R= Leidensis Gronovianus 21; B= Vaticanus Pal. Lat. 1525; E= Erlangensis 618), la quale, corredata da altri codici affini, consente una buona ricostruzione della facies dell’archetipo, l’A. precisa come le corruttele analizzate sembrino determinate da due equivoci ricorrenti nel capostipite comune: “il fraintendimento di compendi e il meccanico inglobamento in linea di vetusti marginalia misconosciuti nella catena delle copie” (p. 254). Rientra nel primo caso l’emendazione di 3. 2, spiegata ipotizzando che il copista dell’archetipo abbia frainteso il compendio m° o mô = modo: la lezione dei codici ullum probetur ut (nec vero ullum probetur ut summum bonum quod virtute careat, qua nihil possit esse praestantius), corretta dalla maggior parte degli editori con l’atetesi di ut, dovrebbe, in realtà, essere emendata con nec vero ullo modo probetur ut, tramite la correzione di ullum in ullo modo. Essa, infatti, sarebbe pertinente all’usus scribendi di Cicerone, che adopera abitualmente l’espressione nullo modo probari, e alla consuetudine dei copisti del De finibus, che abbreviano spesso modo in m°, oscillando tra l’accusativo in –um e in – om, forma più arcaica. La corruttela degli altri due luoghi (4.9; 5. 15), invece, è spiegata attraverso un particolare meccanismo di emendazione, che l’A. definisce “integrazione con parola-segnale”. Questa modalità correttiva non consiste tanto nel formulare una nuova congettura quanto nel riconoscere una correzione già eseguita in tempi più antichi, precedenti lo stesso capostipite comune. Il riconoscimento, precisa l’A., “è garantito dalla parola segnale, ovvero dalla diplografia di una o più parole, precedenti o seguenti quella omessa, già vergate in prima battuta, poi ripetute per indicare con esattezza il luogo di lacuna”. (p. 259). Inoltre, altri luoghi del De finibus contengono diversi tipi di marginalia: si tratta infatti di errori che, in fasi precedenti di trasmissione, sono stati segnati a margine e poi inseriti in linea o prima o dopo il luogo esatto. Tra queste falsae lectiones sono comprese anche lectiones decurtatae che, confluite dal margine in linea, interessano i seguenti luoghi: 2. 61 (ubi ut [eam] caperet aut quando? Cum sciret confestim esse moriendum eamque mortem ardentiore studio peteret quam Epicurus voluptatem petendam putat!) e 2. 118 (quod iam a me expectare noli. tute introspice in mentem tuam [ipse] eamque omni cogitatione pertractans percontare ipse te perpetuisne malis voluptatibus perfruens...).
Works:
Author initials: Magnaldi 2013
Title: Note in margine al De finibus di Cicerone (2. 61, 2. 118, 3. 2, 4. 9, 5, 15)
Review/Collection: "Sileno", 29
Year edition: 2013
Pages: 253-269
Keywords: Philologie - Filologia - Philology
Description: [Comment] [EdC] Con il presente articolo, l’A. intende avanzare tre proposte di correzione al testo tradito del De finibus, relative, nello specifico, a questi luoghi corrotti: 3. 2; 4. 9; 5. 15. In secondo luogo, si propone di illustrare altre due congetture che, seppur inerenti a luoghi comunemente giudicati sani, presentano al loro interno alcune imperfezioni testuali (2, 61; 2, 118). Posta la collazione diretta dei quattro principali manoscritti (A= Vaticanus Pal. Lat. 1513; R= Leidensis Gronovianus 21; B= Vaticanus Pal. Lat. 1525; E= Erlangensis 618), la quale, corredata da altri codici affini, consente una buona ricostruzione della facies dell’archetipo, l’A. precisa come le corruttele analizzate sembrino determinate da due equivoci ricorrenti nel capostipite comune: “il fraintendimento di compendi e il meccanico inglobamento in linea di vetusti marginalia misconosciuti nella catena delle copie” (p. 254). Rientra nel primo caso l’emendazione di 3. 2, spiegata ipotizzando che il copista dell’archetipo abbia frainteso il compendio m° o mô = modo: la lezione dei codici ullum probetur ut (nec vero ullum probetur ut summum bonum quod virtute careat, qua nihil possit esse praestantius), corretta dalla maggior parte degli editori con l’atetesi di ut, dovrebbe, in realtà, essere emendata con nec vero ullo modo probetur ut, tramite la correzione di ullum in ullo modo. Essa, infatti, sarebbe pertinente all’usus scribendi di Cicerone, che adopera abitualmente l’espressione nullo modo probari, e alla consuetudine dei copisti del De finibus, che abbreviano spesso modo in m°, oscillando tra l’accusativo in –um e in – om, forma più arcaica. La corruttela degli altri due luoghi (4.9; 5. 15), invece, è spiegata attraverso un particolare meccanismo di emendazione, che l’A. definisce “integrazione con parola-segnale”. Questa modalità correttiva non consiste tanto nel formulare una nuova congettura quanto nel riconoscere una correzione già eseguita in tempi più antichi, precedenti lo stesso capostipite comune. Il riconoscimento, precisa l’A., “è garantito dalla parola segnale, ovvero dalla diplografia di una o più parole, precedenti o seguenti quella omessa, già vergate in prima battuta, poi ripetute per indicare con esattezza il luogo di lacuna”. (p. 259). Inoltre, altri luoghi del De finibus contengono diversi tipi di marginalia: si tratta infatti di errori che, in fasi precedenti di trasmissione, sono stati segnati a margine e poi inseriti in linea o prima o dopo il luogo esatto. Tra queste falsae lectiones sono comprese anche lectiones decurtatae che, confluite dal margine in linea, interessano i seguenti luoghi: 2. 61 (ubi ut [eam] caperet aut quando? Cum sciret confestim esse moriendum eamque mortem ardentiore studio peteret quam Epicurus voluptatem petendam putat!) e 2. 118 (quod iam a me expectare noli. tute introspice in mentem tuam [ipse] eamque omni cogitatione pertractans percontare ipse te perpetuisne malis voluptatibus perfruens...).
Works:
Author initials: Magnaldi 2013